Il commento a caldo dopo le Europee serve a tirare delle prime conclusioni su cui a parer mio bisogna riflettere.
Per prima cosa va registrato l'ennesimo totale fallimento annunciato della nostra area politica.
Da Rizzo, che gioisce per un risultato insignificante, al listone “La Sinistra”, con la sua mediocrità nel proporre programmi cotti e stracotti, gonfi di europeismo idealista, di cui parlammo il giorno prima delle elezioni, abbiamo clamorosamente perso.
C’è da mettere sul banco degli imputati non un semplice dirigente o un gruppo dirigente ma l’intero modo di pensare e fare politica di questi partiti, tutti più o meno figli di Rifondazione Comunista, negli ultimi vent’anni.
Non basta dire abbiamo comunicato male i nostri buoni propositi, oppure accusare di fascismo chi ha fatto una scelta ben diversa, votando Salvini.
Va fatta tabula rasa dell’approccio che una parte consistente di noi ha avuto nei confronti della gabbia europea e della lotta per i diritti dei ceti subalterni.
Per usare un’espressione di Formenti, la sinistra lemming che con questi listoni punta al suicidio e all’irrilevanza politica e culturale a parer mio va messa alla berlina e i primi che dovrebbero farlo sono i militanti che ad ogni tornata elettorale si fanno prendere in giro da dei dirigenti impresentabili e fuori dal mondo.
Contrastare Salvini con l’antifascismo di maniera o con le pastasciutte antirazziste non basta, anzi, non serve a niente.
Occorre capire il “Fenomeno Salvini” se si ha l’ambizione di sfidarlo e batterlo e per abbozzare uno straccio di analisi, alquanto insignificante ma è pur sempre un possibile inizio, cercherò di usare alcuni elementi che ho trovato leggendo una delle ultime fatiche di Franco Berardi “Bifo”: “Futurabilità”.
Salvini, Orban, Putin, Trump, Le Pen sono delle reazioni a trent’anni di umiliazioni che hanno coinciso con la ristrutturazione del capitalismo di cui Reagan e Thatcher sono stati il simbolo assieme al carrozzone socialdemocratico convertitosi alla Terza Via.
L’obiettivo dichiarato di questi soggetti era l'annientamento della società in quanto tale, con i suoi legami di solidarietà, con l’empatia e qualsiasi sentimento umano incompatibile con l’accumulazione del capitalismo.
Dopotutto, come disse la Thatcher: “la società non esiste.”
Sono evidentemente riusciti nel loro intento, ma hanno generato una bolla di rassegnazione, impotenza e umiliazione che non poteva non essere trasformata in odio.
Il sessantenne senza lavoro, il pensionato che stenta a sopravvivere, le periferie abbandonate, il lavoratore precario che in questi anni sono stati presi a schiaffi in faccia senza pietà e illusi, oggi reclamano una sola cosa: vendetta.
Non importa che questo odio venga indirizzato verso gli ultimi del mondo e che venga dato credito a personaggi che propongo misure contro le classi subalterne, come la flat tax.
Oggi una grossa fetta del proletariato occidentale reclama la sua vendetta contro trent’anni di umiliazioni e prese in giro da parte di una élite totalmente fuori dal mondo.
Quello scollamento delle élite di cui parlava Lasch già negli anni ‘80 ha prodotto una nicchia arrogante di popolazione che vive allegramente in città/quartieri fortezza, nel lusso che riescono a mantenere in questo mondo globalizzato, guardando dall’alto in basso questi “pezzenti” in rivolta o, come li definì il premier "socialista" francese Hollande, "poveri senza denti."
Straparlano di multiculturalismo e mondo aperto dai loro appartamenti in centro, in zone in cui permane quel confine di classe che si guardano bene dal demolire mentre grazie alla gentrificazione delle città espellono verso le periferie e i centri minori il popolo lavoratore.
Chi è sazio non crede alla fame e lo scollamento diviene puro odio di classe da parte di questi ottusi che non riescono a capire come l’operaio del Midwest possa credere a Trump e non alle magnifiche possibilità aperte dal mondo globalizzato.
A tutto questo aggiungiamo l'inarrestabile ascesa dei popoli del vecchio Terzo Mondo che reclamano spazio e potere, marginalizzando sempre di più l’Occidente.
Allora cosa dobbiamo fare?
Non pretendo di avere la cura giusta e mi limito semplicemente a fornire degli spunti.
Dobbiamo ricomporre delle strutture di classe adatte a sostenere dei processi che dal basso si impegnino a costruire spazi di autonomia e solidarietà, isole in espansione contro l’odio che cresce proponendo soluzioni sbagliate a problemi dannatamente complessi.