
Il dibattito sui nessi filosofici e politici tra produzione teorica marxiana e ambiente è sempre più attuale e urgente. La distruzione delle condizioni di vita così come le conosciamo, imposta dalla logica del capitale, dimostra inequivocabilmente la necessità di cambiamenti radicali nei rapporti tra economia e natura.
La trasformazione di tutto in merce impone dinamiche temporali e spaziali incompatibili con i processi naturali, portando il pianeta ad una situazione di totale squilibrio ed esaurimento. Certamente, qualsiasi dato che offriremmo sull'argomento sarebbe obsoleto e, sfortunatamente, in peggio.
Secondo l'SRC (Stockholm Resilience Center), dei 9 confini planetari (cambiamento climatico, perdita di biodiversità, variazione del ciclo biogeochimico dell’azoto e del fosforo, acidificazione degli oceani, consumo di suolo e di acqua, riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, diffusione di aerosol in atmosfera e inquinamento chimico), 7 vengono superati, generando effetti di feedback che creano un ambiente di instabilità e insicurezza.
È all'interno di questi squilibri che dobbiamo cercare, ad esempio, le cause del Covid-19. Il dibattito sui vaccini, per quanto urgente e pertinente, si limita agli effetti piuttosto che ai nessi causali dei problemi.
Questo è il motivo che mi sta spingendo ad approfondire teoricamente i rapporti tra marxismo e pensiero ecologico.
Sollecitato dalla recensione che ho scritto per Effimera del libro di Ian Angus "Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema Terra", ho approfondito lo studio del pensiero di John Bellamy Foster. Questo lungo e denso saggio spero possa essere utile per far conoscere ai compagni italiani le sue tesi. A maggior ragione in un momento di radicalizzazione del movimento ambientalista in cui si fa sempre più urgente la necessità di affrontare con gli adeguati strumenti teorici la sfida della transizione ecologica. I negazionisti del Covid-19 di oggi saranno i negazionisti del cambiamento climatico domani e non possiamo permetterci di vederli sfruttare i costi sociali della transizione ecologica per mettere su due fronti opposti ambiente e lavoro. Dedico questo saggio a mio zio Santino recentemente scomparso.
John Bellamy Foster parte dal presupposto che per comprendere il
rapporto tra uomo e natura nel nostro secolo è necessario
comprendere le nuove visioni della natura emerse nel passaggio dal
XVII al XIX secolo: come il materialismo e la scienza hanno
consentito lo sviluppo di forme ecologiche di pensiero e, in tal
modo, comprendere la trasformazione sociale associata al cambiamento
della relazione tra essere umano e ambiente. Per affrontare questa
sfida sceglie come punto di partenza il materialismo di Marx e quello
di Darwin, considerando questi come i primi punti di riferimento per
la risoluzione della questione. In effetti, una simile associazione
era già stata fatta in precedenza da Caudwell, in Heredity and
Development, uno dei pochi pensatori all'inizio del XX secolo a
non rifiutare una concezione coevolutiva tra uomo e natura
nell'opera di Marx e di Darwin. Tuttavia, per Foster, l'argomento
restava ancora da approfondire, dato che era stato lasciato da parte
dagli scienziati sociali, a causa dei grandi eventi storici accaduti
in quel periodo.
Il materialismo deve essere concepito
come una teoria della natura, originata dalla filosofia greca che
trova in Epicuro il suo grande sviluppo.
“In its most general sense
materialism claims that that the origins and development of whatever
exists is dependent on nature and “matter,” that is, a level of
physical reality that is independent of and prior to thought.”1
Per Foster può essere suddiviso in:
ontologico, che si caratterizza come una dipendenza unilaterale
dell'essere sociale dal biologico, epistemologico, dove l'esistenza è
indipendente dall'attività prodotta dal pensiero scientifico e
pratico, che deduce il ruolo costitutivo della trasformazione
dell'uomo nelle forme sociali. In questa definizione, la teoria di
Marx tende a concentrarsi più nettamente sul materialismo
pratico, nel senso che si concentra sulle azioni messe in atto
dall'uomo in relazione alla trasformazione della natura ma non
trascura i materialismi epistemologici e ontologici quando afferma il
carattere alienato con cui si costituisce tale rapporto.
All'inizio del XIX secolo le
discussioni filosofiche sollevate da David Hume e, successivamente,
da Kant, avevano fatto maturare il confronto teorico tra prospettive
materialiste e idealistiche, promuovendo una critica di entrambe nel
campo dell'etica e della gnoseologia. In questi due grandi campi c'è
chi ha difeso il primato dello spirito sulla natura, la cui
prospettiva è stata storicamente sviluppata da Hegel e sarà
associata al cristianesimo nel tentativo di spiegare, in ultima
istanza, la creazione del mondo, mentre il materialismo sarà
associato all'empirismo, all'interno delle scienze della cognizione,
e al sensualismo.
Per Foster, per capire Marx, dobbiamo
prima passare attraverso la comprensione dell'epicureismo dato che
Marx non è mai stato disposto ad abbandonare il materialismo
pratico, né una sua comprensione generale come categoria ontologica
ed epistemologica. Alla base del suo materialismo sta la premessa che
il mondo naturale preesiste ed è indipendente dall'esistenza del
pensiero umano. In effetti, il pensiero stesso deve essere visto come
un atto successivo dell'esistenza materiale-naturale umana. La
connessione perenne tra mondo naturale-materiale e mondo sociale non
dissolve le incongruenze e le contraddizioni esistenti tra queste
sfere che saranno abbracciate, nella loro prospettiva dialettica,
all'interno di un flusso storico continuo. Questa dialettica
relazionale della storia è stata enfaticamente evidenziata da
Marx come parte di un processo naturale di produzione dell'esistenza
umana. Tra queste sfere, tuttavia, risiede l'alienazione strutturale
che è il prodotto dell'interazione umana con la natura all'interno
del modo di produzione capitalista.
Nella sua Critica della ragion pura
Kant sviluppa i concetti di noumeno e fenomeno, promuovendo anche una
critica di ogni conoscenza basata sull'esperienza. La trascendenza
della cosa in sé, dove risiede la sua inconoscibilità, sembrava
minare tutti i tentativi di costruire una filosofia materialista
coerente. Nella prospettiva di Marx, la grande innovazione hegeliana
sta nel proporre una risposta al dilemma kantiano riguardo alla
conoscenza della cosa stessa. Secondo Hegel, l'oggettivazione dello
spirito nel mondo costituirebbe l'alienazione fondamentale che separa
l'uomo dal mondo esterno ed è prodotta dai problemi della cognizione
e perfezionata lungo un processo storico sviluppato dallo spirito. Si
tratta quindi di un processo in cui si stabilisce la trasformazione
del mondo e dell'uomo, dalla conferma della ragione nella Storia.
Questo processo di contraddizione e trascendenza, fondamento
essenziale del concetto di alienazione in Hegel, costituisce
l'essenza stessa della sua dialettica. Il principale contributo di
Marx sarebbe proprio il tentativo di ristabilire la dialettica nel
campo della filosofia materialista. Contrario alla concezione
hegeliana, che comunque negava la possibilità logica del
materialismo come forma di conoscenza, Marx propone che l'alienazione
si costituisce nel rapporto uomo-natura attraverso le azioni
materiali dell'uomo, e non dalla subordinazione della realtà alla
esistenza del pensiero. Andando oltre la posizione proposta dai
teorici del suo tempo storico, i materialisti idealisti, che
ponevano il materialismo in antagonismo con l'idealismo hegeliano, in
particolare feuerbachiano, Marx trarrà dalla fonte epicurea la sua
nozione di materialismo.
Epicuro sarebbe stato il primo a
percepire l'alienazione dell'essenza umana all'interno del mondo
dell'apparenza, negando sia la libertà che il potere di
autodeterminazione dell'uomo all'interno del mondo materiale. Subito
dopo aver completato la sua tesi di dottorato Marx scrisse The
History of Modern Philosophy from Bacon to Espinoza, pubblicata
nel 1833, mentre Feuerbach stava sviluppando la sua posizione
materialista nelle Tesi provvisorie per la riforma della filosofia
che sarebbero state pubblicate nel 1842. L'importanza di Feuerbach
riguarda le critiche di Marx, contenute nell'Ideologia tedesca,
contro le sue tesi, grazie alle quali costruirà la propria nozione
di materialismo. Per lui il materialismo di Feuerbach è puramente
contemplativo, il che lo rende del tutto astratto, mentre, d'altra
parte, afferma la comprensione del suo materialismo, come
materialismo pratico, proponendo un cambiamento nell'approccio
epistemologico del materialismo. Sviluppando l'idea che la coscienza
sia un atto successivo all'esistenza materiale, Marx pone la natura e
le relazioni naturali, poste in essere dall'uomo nella conservazione
della sua esistenza, come base inseparabile del materialismo. Quindi
è radicalmente impossibile pensare alla costruzione della coscienza
umana senza tener conto del ruolo della natura al suo interno. Il
mondo sensibile in Marx, il mondo esterno, fisico, preesiste all'uomo
e alla coscienza umana. Aggiunto a questo concetto, Marx porrà la
dialettica come elemento fondamentale per comprendere l'intima e
perenne connessione tra l'uomo, la natura e la costruzione sociale
del mondo. Uno dei punti centrali della tesi difesa da Foster è che
questi elementi furono trascurati dagli autori che, alla fine del
secolo XIX, hanno avuto la necessità di separare il campo delle
scienze naturali dalle scienze sociali, facendo propendere
l'interpretazione della teoria marxista verso una prospettiva
puramente sociale, basata sull'analisi della prassi umana. In ogni
caso, gli economisti e sociologi contemporanei criticano il pensiero
classico, rivendicando una presunta negazione della priorità
ontologica della natura all'interno del pensiero sociologico.
Secondo Foster: “Western, critical
Marxism (along with much of contemporary philosophy and social
science) was defined by its rejection of crude nineteenth-century
positivism, which attempted to transfer a mechanistic and
reductionist world-view (which was credited with some notable
successes in the development of science) to the realm of social
existence. However, in rejecting mechanism, including mechanistic
biologism of the social Darwinist variety, thinkers in the human
sciences, including Marxists, increasingly rejected realism and
materialism, adopting the view that the social world was constructed
in the entirety of its relations by human practice—including,
notably, those aspects of nature that impinged on the social
world—thereby simply denying intransitive objects of knowledge
(objects of knowledge which are natural and exist independently of
human beings and social constructions).”2
Per Foster, questo movimento ha portato
il marxismo a concezioni sempre più idealistiche dell'esistenza
umana. Di conseguenza, il concetto di materialismo iniziò a
incorporare una visione unicamente sociale, i concetti di Marx furono
elaborati in modi sempre più astratti, rafforzando il predominio di
una distorta lettura economicista dell’opera marxiana basata sulla
separazione sempre più marcata tra struttura e sovrastruttura. Solo
salvando il concetto originario di materialismo, tratto dalla
concezione originaria epicurea di Marx, evidente nei suoi primi
scritti e nelle sue tesi di dottorato, è possibile ristabilire il
ruolo della natura all'interno dello schema teorico marxiano e
comprendere i problemi fondamentali vissuti dall’esistenza umana.
Occorre invece evitare di tornare al biologico e al darwinismo
sociale “through a non-mechanistic, non-reductionist, critical
materialism that retains a connection to a materialist conception of
history”3, essendo l'unica soluzione
all'idealismo che cresce nel campo delle scienze sociali, nonché la
soluzione all'impoverimento della nozione di natura per il
materialismo. Concentrandosi sull'alienazione esistente tra il lavoro
umano e le condizioni naturali di produzione, un'idea che tocca la
sua nozione di metabolismo sociale, Marx ha denunciato la spoliazione
della natura prima della nascita di una moderna coscienza ecologica.
Nonostante ciò, viene spesso attaccato per una presunta negligenza
teorica, prodotta in parte dal disprezzo del ruolo della natura nella
sua opera, che è generalmente espressa sotto forma di tre distinti
argomenti:
1) Le questioni riguardanti la natura
sollevate da Marx non sono collegate al suo sistema teorico, essendo
disconnesse e “sparse” in tutti i suoi lavori.
2) Marx avrebbe gradualmente
abbandonato il ruolo della natura nella sua opera, essendo stata
inserita solo nei suoi primi scritti, in conseguenza delle idee
formulate intorno all'alienazione.
3) Marx avrebbe posto la natura sotto
il totale controllo e sottomissione della conoscenza scientifica e
tecnologica, in quanto inserita all'interno dei mezzi di produzione.
D'altra parte, c'è chi difende l'idea
che Marx avrebbe affermato il dominio baconiano della natura
attraverso la conoscenza strumentale umana e l'espansione della
produzione industriale e del commercio internazionale.
C'è anche chi porta la discussione
marxiana nel campo dell'etica, sostenendo che la prospettiva
abbracciata dal marxismo è antropocentrica, in quanto centrata
sull'azione umana, quindi, incapace di sostanziare un passaggio a una
concezione ecocentrica del rapporto uomo-natura. Tendendo a
moralizzare l'economia queste correnti di pensiero considerano la
dicotomia antropocentrismo-ecocentrismo fondamentale per il dibattito
sull'ordine economico, tuttavia, i loro approcci finiscono per
restare nel campo dei valori ecologici, derivati da concezioni
romanticizzate della natura, dello spiritualismo e dell'idealismo
filosofico. Non sono di alcuna utilità per comprendere le relazioni
all'interno del modo di produzione capitalista. In ogni caso, tali
visioni non partono da un'analisi congruente con l'essenza della
comprensione materialistica della storia e la necessaria interazione
uomo-natura come proposta da Marx. Per Foster, tali dualità, ovvero:
naturalismo e sociologismo, materialismo e idealismo, devono essere
riconosciute come categorie “dialectically connected in their
one-sidedness, and must be transcended together, since they represent
the alienation of capitalist society.”4
Secondo l'autore, un'analisi ecologica
deve essere sia materialistica che dialettica, e:
“As opposed to a spiritualistic,
vitalistic view of the natural world which tends to see it as
conforming to some teleological purpose, a materialist sees evolution
as an open-ended process of natural history, governed by contingency,
but open to rational explanation. A materialist viewpoint that is
also dialectical in nature (that is, a non-mechanistic materialism)
sees this as a process of transmutation of forms in a context of
interrelatedness that excludes all absolute distinctions. Life
(organisms) and the physical world, as Rachel Carson was wont to
emphasize, do not exist in “isolated compartments.” Rather there
is an “extraordinary unity between organisms and the environment.”
A dialectical approach forces us to recognize that organisms in
general do not simply adapt to their environment; they also affect
that environment in various ways, and by affecting it change it. The
relationship is therefore a reciprocal one. For example, “the soil
undergoes great and lasting evolutionary changes as a direct
consequence of the activity of the plants growing in it, and these
changes in turn feed back on the organism’s conditions of
existence.” An ecological community and its environment must
therefore be seen as a dialectical whole; one in which different
levels of existence are ontologically significant—and in which
there is no overall purpose guiding these communities.”5
Il capitalismo poteva svilupparsi solo
a partire dalle trasformazioni della produzione agricola e,
soprattutto, dalla nozione di proprietà capitalista che trova una
prima forma nel XVII secolo. Lo sviluppo iniziale del capitalismo
avvenne quando le città (centri urbani), così come la classe
borghese, ottennero l'indipendenza dai cicli naturali
dell'agricoltura e, poiché la tecnologia consentiva la produzione
capitalistica, la creazione di livelli adeguati di plusvalore. Nelle
città l'ordine capitalista si è storicamente naturalizzato come
superamento della vita rurale.
Gli uomini trovarono il proprio
sostentamento, lungo gran parte della storia dell'umanità, lavorando
nei campi. I rapporti di produzione, nel corso della storia, sono
sempre stati tra coloro che possiedono i mezzi di produzione e la
terra e i lavoratori che ne traggono il proprio sostentamento. Tali
divisioni sociali hanno avuto nel tempo configurazioni diverse,
tuttavia, solo nella forma capitalistica, formazione
economico-sociale che ci interessa, il modo dominante di
appropriazione del surplus è basato sull'espropriazione dei
produttori diretti il cui plusprodotto è appropriato con mezzi
puramente economici. Questo accade perché nel capitalismo il
rapporto del lavoratore con la terra ha tre caratteristiche
importanti, e cioè: il produttore diretto (lavoratore) non ha terra
di sua proprietà da lavorare; il loro rapporto con la produzione
avviene attraverso la vendita della loro forza lavoro in cambio di un
salario; chi determinerà le condizioni di tale rapporto sarà il
mercato. Ogni merce, nella società capitalista, passa attraverso il
filtro del mercato. La produzione di plusvalore, i salari dei
lavoratori, così come sia il lavoro che il capitale dipendono
ulteriormente dal mercato per le condizioni più elementari della
propria riproduzione. Nel modo di produzione capitalista, il più
elementare degli atti umani, il cibo, è soggetto alle leggi del
mercato. In questo processo di mercificazione dell'agricoltura, che
rappresenta il suo progressivo assorbimento da parte delle dinamiche
capitaliste, è possibile osservare tre momenti distinti.
Secondo Foster: “the
first revolution was a gradual process taking place over several
centuries, connected with the enclosures and the growing centrality
of the market; technical changes included improvements in manuring,
crop rotation, drainage, and livestock management. In contrast, the
second agricultural revolution took place over a shorter period—
1830–1880—and was characterized by the growth of a fertilizer
industry and the development of soil chemistry, associated in
particular with the work of Justus von Liebig.The third agricultural
revolution took place still later, in the twentieth century, and
involved the replacement of animal traction with machine traction on
the farm, followed by the concentration of animals in massive
feedlots, coupled with the genetic alteration of plants (producing
narrower monocultures) and the more intensive use of chemical
inputs—such as fertilizers and pesticides.”6
Nel 1844, mentre stava ancora scrivendo
il suo Schizzo d’una critica dell'economia politica, Marx
ebbe accesso all'opera di Liebig, definendola una delle critiche più
energiche alla teoria malthusiana. Il Capitale può essere
inteso come il punto di integrazione tra una concezione
materialistica della storia, sviluppata principalmente nei
Manoscritti economico-filosofici del 1844 e nell'Ideologia
tedesca, con una concezione materialista della natura, ottenuta
dalla critica degli economisti classici, soprattutto attraverso
l'analisi del lavoro di autori dediti allo studio dell'agricoltura.
Nell'opera, Marx espone i frutti della sua elaborazione, partendo da
un'analisi centrata sul concetto di Metabolismo (Stoffwechsel),
delucidando aspetti fondamentali dell'alienazione che aveva
sviluppato nei lavori precedenti. In questo contesto, due punti
cruciali costituiscono le forme fondamentali di alienazione della
produzione capitalistica, e cioè: in un primo aspetto,
fondamentale-strutturante, che agisce a livello ontologico, che
riguarda l'alienazione fondamentale dell'uomo stesso dalla natura,
che costituirà una separazione che consente il salto di socialità e
il superamento dell'animalità, essendo, quindi, una struttura che si
articola attorno ad una mancanza essenziale che segna l'avvento del
linguaggio e la separazione antagonistica tra città e campagna, che
costituirà uno degli aspetti fondamentali della sua critica allo
sviluppo capitalistico nella società borghese. Secondo Foster:
“Moreover, Marx’s concept of
metabolic rift in the relation between town and country, human beings
and the earth, allowed him to penetrate to the roots of what
historians have sometimes called the “second agricultural
revolution,” occurring in the capitalism of his day, and the crisis
in agriculture with which this was associated, thereby enabling him
to develop a critique of environmental degradation that anticipated
much of present-day ecological thought.”7
Il percorso di comprensione di questa
seconda frattura metabolica deve iniziare con i Grundrisse,
dove Marx traccia lo schema di un progetto di critica dell'economia
politica borghese che lo porta ad un'analisi introduttiva del
complesso problema delle condizioni di riproduzione sociale
all'interno del modo di produzione capitalista. Per Marx, Malthus
avrebbe sbagliato a generalizzare l’elemento sovrappopolazione per
tutte le società, astraendo dalle differenze storiche nelle
formazioni sociali e riducendole a una relazione meramente numerica
che, secondo Marx, era "un astratto rapporto aritmetico che è
campato in aria e non è fondato né su leggi naturali né su leggi
storiche”8.
In questo modo, Marx si colloca, anche se indirettamente, nella
discussione sui limiti e le barriere naturali e storiche alla
riproduzione capitalista. Per Malthus, le risorse naturali utilizzate
per la sussistenza umana crescevano su scala aritmetica, mentre la
popolazione cresceva su scala geometrica, seguendo questo flusso fino
a incontrare limitazioni esterne che costituivano delle barriere
naturali. D'altra parte, Marx si rese conto che, trascurando alcune
questioni storiche e sociali fondamentali, Malthus finì per ridurre
le barriere esterne a limiti immanenti o naturali. Malthus credeva
che la crescita della popolazione avrebbe superato le condizioni
naturali nel soddisfare i bisogni alimentari umani, sulla base di una
relazione matematica. Tuttavia, la sua teoria nega ogni possibilità
di interazione umana sulle condizioni naturali del suolo, ad esempio,
supponendo che tali condizioni siano prodotte esclusivamente dalla
natura.
D'altra parte, la natura a cui si
riferisce Malthus è stata ereditata dai Fisiocrati che, sulla base
dell'idea che il suolo e l'ambiente sarebbero stati un debito della
natura verso l'uomo. Marx è stato a lungo accusato, a causa delle
reiterate critiche a questa nozione malthusiana, di sostenere l'idea
che la natura non ha un valore aggiunto, essendo un bene libero e
illimitato, soggetto solo alle capacità umane di sfruttamento.
Tuttavia, affermando la connessione tra le relazioni sociali,
storicamente costituite nel modo di produzione capitalista, con la
natura e l'uso del suolo, Marx svilupperà la nozione secondo cui i
valori di scambio superano, all'interno della produzione di
ricchezza, i valori d’uso, che rappresenta una contraddizione
(ecologica) del capitalismo e che porta a pensare che il valore dato
alla natura è più legato alla logica del mercato delle merci che
alla sua capacità di soddisfare bisogni reali. Essendo il
capitalismo un modo di produzione costruito sui valori di scambio,
una questione largamente trascurata dagli autori dell'economia
politica classica è che, poiché la natura è parte integrante delle
forze produttive, insieme al lavoro, ed è quest'ultimo l'unico a
contribuire alla generazione della ricchezza, mentre viene trascurato
il ruolo dell'ordine naturale, il modo di produzione capitalista basa
la sua produzione di valore su una contraddizione. D'altra parte,
Marx chiarisce che il lavoro è la materia della natura mobilitata
dalla volontà umana, essendo responsabile della costruzione del
valore della natura, all'interno del processo produttivo. Tuttavia,
il lavoro non può essere considerato l'unica fonte di ricchezza
materiale, dato che nel Capitale Marx afferma che, citando
William Petty, mentre il lavoro è padre della ricchezza, la terra è
sua madre, criticando le posizioni idealistiche di autori come
Ferdinand Lassalle per aver trascurato il ruolo della natura,
attribuendo tutta la produzione alla forza creatrice
soprannaturale del lavoro.
Nel 1777, James Anderson pubblica
l'opera An enquiry into the nature of the corn laws, dove
propone un'indagine sui processi di produzione agricola inglese, che
poi sviluppa in
A calm investigation of the
circumstances that have led to the present scarcity of grain in
Britain, del 1801, che culminerà in un'elaborata critica del
lavoro di Malthus sull'agricoltura fondiaria capitalista e sul regime
di locazione del suolo fertile in Inghilterra. Anderson confuta la
teoria di Malthus e Ricardo, spiegando che l'affitto delle terre più
fertili non dipende esclusivamente dalle condizioni innate del suolo,
così come dal suo potenziale uso umano. Accadde che i suoli più
fertili venissero dapprima assorbiti dalla produzione capitalistica,
tanto che tali suoli stavano progressivamente perdendo il loro
potenziale produttivo, a causa del loro uso non razionale. In modo
che, secondo Anderson, “the existence of differential rent
primarily to historical changes in soil fertility, rather than to
conditions of “absolute fertility.”9
Così, con un'adeguata preparazione (concimazione con letame,
irrigazione, ecc.) il terreno meno fertile potrebbe diventare più
fertile degli altri, allo stesso modo che, senza le dovute cure, il
terreno potrebbe perdere gradualmente la sua fertilità. Sicché,
infatti, ciò che Malthus e Ricardo descrivono come fertilità del
suolo è proprio il grado di produttività del suolo, cioè la sua
utilità per il sistema produttivo, tratto che non è immanente al
suolo ma un'attribuzione sociale. Pertanto, per Anderson, il calo
della fertilità del suolo era dovuto all'impossibilità di adottare
pratiche agricole sostenibili, dato che il detentore della proprietà
terriera l'avrebbe utilizzata solo per il periodo della sua
locazione, indipendentemente dal suo uso futuro da parte dei
proprietari terrieri. Oltre a questo scorcio pionieristico, Anderson
giunse anche alla conclusione che la perdita delle capacità
fertilizzanti naturali del suolo fosse dovuta a una crescente
divisione tra campagna e città e, attraverso queste argomentazioni,
poté affermare che la scarsità di grani utilizzati per il
nutrimento umano è dovuta al suo (cattivo) uso da parte dell'uomo, a
partire dall'analisi del modo (socio-storico) in cui lo utilizza per
il suo sostentamento e non per l'aumento geometrico della pressione
dell'umanità su un approvvigionamento alimentare che cresce
aritmeticamente.
Per Anderson, se la popolazione di un
paese è destinata ad aumentare, e la sua gente è principalmente
impiegata nella coltivazione della terra, la produttività seguirà
il ritmo di quella popolazione, qualunque essa sia, e ci sarà
abbondanza in ogni stagione. A quanto pare, Marx ebbe accesso
all'opera di Anderson intorno al 1851, considerando che nel periodo
dal 1850 al 1860 si dedicò alla scrittura delle Teorie sul
plusvalore, dove cita l'autore riferendosi alla storicizzazione
della fertilità del suolo. Secondo Marx la rendita differenziale dei
proprietari terrieri è in parte il risultato della fertilità data
artificialmente alla terra dall'agricoltore, per cui il suo grado
di fertilità non dipende unicamente dalla natura. In breve, il
calo della fertilità è da attribuire alla produttività aggiunta al
suolo che non ha tenuto conto della sua capacità di far fronte al
suo usufrutto, e, dall'altro, alla negligenza di alcuni produttori
nel non investire per migliorare o mantenere la propria produttività
(incapacità di riciclare lo sterco, ad esempio). In questo modo,
Anderson è stato colui che ha collegato materialmente l'economia
politica alla vera agronomia, aiutando Karl Marx “to
historicize the problem of capitalist ground rent, while more fully
comprehending the conditions of the soil.”10
Secondo
Foster: “It was
the crisis of soil fertility in European and North American
agriculture and the great advances in soil science in Marx’s own
day which were, however, to allow Marx to transform this historical
approach to the question of agricultural improvement into an
ecological critique of capitalist agriculture (...) the availability
of food could prove insufficient due to the distortions produced
within society and in the cultivation of the soil—rather than due
to the inherent inadequacies of agriculture.”11
Il
riconoscimento del debito nei confronti del lavoro di Anderson non è
mai stato riconosciuto da Malthus nella sua opera, tuttavia, è
chiaro che la “credenza”
in una concezione della legge naturale, che condivideva con Ricardo,
non gli impediva di riconoscere la possibilità di migliorare le
condizioni di produzione attraverso la cura del suolo, però, senza
dargli il dovuto risalto. A suo avviso, tali differenze nella
produzione non hanno avuto effetti considerevoli rispetto all'aumento
delle popolazioni. Marx intraprese tali letture mentre scriveva il
Capitale
nel 1860, rendendosi conto che esisteva una divisione storica tra le
due concezioni dell'agricoltura, in gran parte dovuta all'espansione
delle conoscenze sulla chimica del suolo, soprattutto a causa del
lavoro di Liebig Organic
chemistry in its application to agricultural and physiology,
in cui valuta lo stato delle conoscenze agrarie prima del 1840. Nella
sua concezione, prima del 1840, la produttività agricola era
radicalmente dipendente dalle condizioni naturali del suolo e dei
nutrienti delle piante e presenti nel terreno, considerando che non
esistevano ancora conoscenze evolute sulla loro costituzione
fisico-chimica. Questo spiegherebbe il fatto che molti autori, che
hanno scritto le loro opere prima di questa data, consideravano la
natura come un “potere
illimitato” e
“indistruttibile”.
Nei secoli XVII e XVIII, in Inghilterra, scoppiò la “rivoluzione
agraria”,
compatibile con le esigenze dello sviluppo del capitalismo
industriale. Già nel XIX secolo, al tempo di Marx, l'Europa e il
Nord America stavano attraversando una crisi
ecologica derivante
dalla saturazione del suolo, dal crescente inquinamento delle città
e dalla deforestazione, che giustificava un'iniziale preoccupazione
scientifica per la distruzione dell'ambiente.
L’opera
di Liebig Organic
chemistry in its application to agriculture and physiology
del 1840 rappresentava una risposta separata a questo problema. Lo
sguardo di Liebig ha causato un po' di panico tra gli agricoltori
dell'epoca, avvertendoli dei pericoli dell'esaurimento del suolo e
della carenza di fertilizzanti. La capacità di risolvere questo
problema era limitata dalla divisione sociale del lavoro dell'epoca,
nonché dal crescente antagonismo tra campagna e città. Tutti erano
convinti dell'insostenibilità dell'agricoltura capitalista, tuttavia
fu Marx a ravvivare tali critiche, lasciandole sparse per tutta la
sua opera. Nel 1853 Henry Carey, famoso economista americano, iniziò
a scambiarsi lettere con Marx ed a condividere considerazioni sulla
critica dell'economia politica inglese, in particolare su questioni
eminentemente agrarie. Parte delle sue considerazioni sull'uso
estremo della terra nel paese, e le conseguenze di ciò, furono
pubblicate in The
slave trade domestic and foreign,
la sua opera principale, e inviate a Marx, sottolineando il fatto che
“long-distance trade arising from the separation of town and
country (and agricultural producer and consumer) was a major factor
in the net loss of soil nutrients and the growing crisis in
agriculture”.12
Liebig
sarà fortemente influenzato da questo lavoro e intraprenderà uno
studio empirico per valutare le forme di esproprio delle terre,
avvenute in Inghilterra e negli USA, nel corso del XIX secolo, e la
conseguente diagnosi di spoliazione agricola come principale elemento
di impoverimento del suolo, che dovrebbe essere sostituito da una
forma basata sulla restituzione del suolo, delle sue condizioni di
fertilità, che sarebbe di ostacolo agli interessi economici di
questi paesi. In Agricultural
Chemistry, afferma
che la crescita delle città è stata concomitante con un sistematico
impoverimento delle condizioni di produzione agricola. Non è
indifferente ricordare che tale impoverimento è stato accompagnato
da una progressiva erosione del tessuto sociale rurale, ormai zona
eterna di conflitti, movimenti di emigrazione, epidemie e,
contraddittoriamente, fame. Maggiore è la distanza tra la campagna e
la città, maggiori sono le condizioni di crescita urbana,
parallelamente a una progressiva svalutazione della campagna, logica
presto rivelata da Marx. Un elemento importante nel processo
metabolico tra uomo e natura, trascurato all'interno del modo di
produzione capitalistico, è il riciclo organico degli scarti di
produzione e il loro ritorno alla natura, chiudendo il ciclo di
sfruttamento della natura per il mantenimento dell'uomo in vita.
Mantenere la produttività del suolo, così come della natura in
generale, è un impegno spesso trascurato verso le generazioni
future. Tuttavia, ciò che si frappone nella realizzazione di questo
importante atto è la frattura metabolica esistente nel rapporto tra
uomo e natura, generato dal capitalismo come condizione storica della
sua esistenza.
L'interesse
di Marx per l'opera di Liebig, espressa in vari punti nel primo
volume del Capitale
ma
in particolare nel terzo volume, espone esplicitamente la letteratura
che costituisce la base della sua analisi delle condizioni agricole
dello sviluppo industriale in Inghilterra. Rappresenta l'inizio di
una critica sistematica allo sfruttamento capitalistico, nel senso
del progressivo prelievo di nutrienti dal suolo, nonché del degrado
della base naturale dei mezzi di produzione in genere, determinato
dalla grande espansione dell'industria capitalistica e
dell'agricoltura, la cui crescita, secondo la conclusione di Marx, è
inversamente proporzionale all'impoverimento del suolo e degli
operai. Il concetto di metabolismo
(Stoffwechsel),
costituisce la nozione centrale coinvolta da Marx per spiegare il
processo di scambio materiale tra uomo e natura che si tradurrà
nella produzione di valori d'uso necessari all'esistenza.
Nei
suoi Manoscritti del
1861-1863, Marx
afferma che il lavoro reale è l'attività attraverso la quale si
svolge il metabolismo tra uomo e natura, sviluppando le categorie e
le conclusioni raggiunte nei Grundrisse
e anticipando le definizioni centrali della discussione svolta nel
Capitale.
Già nel 1880, nelle Glosse
a Wagner, l'autore
con cui Marx condivideva la formulazione dell'idea di metabolismo in
ambito economico, sottolinea l'importanza del concetto nella sua
formulazione critica dell'Economia Politica classica. Da questo
concetto Marx pone le basi per comprendere il carattere universale
del processo (necessario) di interazione con la natura da cui l'uomo
produce la propria esistenza, in tutti i tempi storici e, in
particolare, l'espressione alienata che assume la sua forma
capitalista. Stoffwechsel
costituisce “un
sistema del ricambio sociale generale, dei rapporti universali, dei
bisogni universali e delle capacità universali”13,
utilizzato dall'uomo per produrre la sua esistenza e, portato a un
sistema di produzione generalizzata di merci, dal modo di produzione
capitalista. Per Foster: “Marx
therefore employed the concept both to refer to the actual metabolic
interaction between nature and society through human labor (the usual
context in which the term was used in his works), and in a wider
sense (particularly in the Grundrisse) to describe the complex,
dynamic, interdependent set of needs and relations brought into being
and constantly reproduced in alienated form under capitalism, and the
question of human freedom it raised—all of which could be seen as
being connected to the way in which the human metabolism with nature
was expressed through the concrete organization of human labor. The
concept of metabolism thus took on both a specific ecological meaning
and a wider social meaning.”14
La
scelta del termine
metabolismo (Stoffwechsel)
all'interno delle
relazioni economiche capitaliste non ha origine con Marx ma nel libro
Agricultural
chemistry di Liebig,
pubblicato nel 1840. Il suo uso è stato ripreso dalla cerchia dei
fisiologi tedeschi negli anni '30 e '40 dell'Ottocento, facendo
riferimento a scambi materiali derivati dal
processo di respirazione, e quindi, data un'applicazione più ampia,
serviva per rappresentare tutti gli scambi materiali che avvengono in
natura, sia a livello cellulare che biochimico. Il concetto sarà
considerato, dagli anni '40 in poi, come una categoria teorica
fondamentale per comprendere l'interazione degli organismi con il
loro ambiente. La sua idea originale si riferisce alla nozione che
ogni essere vivente interagisce con il suo ambiente, utilizzando i
materiali e l'energia disponibili nella natura che lo circonda (il
suo ambiente), rimuovendo gli elementi necessari e, convertendoli,
attraverso varie reazioni metaboliche, nella materia di base
dell’esistenza materiale. Liebig si riferiva al termine per
spiegare il processo metabolico necessario da osservare per evitare
il degrado del suolo. L'uso di questo concetto rappresenta un momento
storico in cui elementi concettuali presi dalla fisica e dalla
chimica sono stati trasposti nel campo delle scienze umane, formando
un materialismo scientifico con una forte allusione all'energetica
(conservazione e scambio di energia da parte degli esseri),
rifiutando di aderire al meccanicismo e al determinismo comuni alle
scienze naturali dell'epoca.
Tuttavia,
fu Robert Mayer, nel 1845, con la pubblicazione di The
Motions of Organisms and their Relation to Metabolism,
che per primo avvicinò la legge di conservazione dell'energia agli
eventi generali dell'economia. “Hence,
the whole notion of metabolism came to be linked in this way with the
more general shift toward energetics in science, and was thus
essential for the development of “quantitative ecology”15,
avendo influenzato l'uso del termine da parte di Marx negli anni '60
dell'Ottocento per spiegare il rapporto tra uomo e natura attraverso
il lavoro. In ogni caso, “the
widespread use of the concept of metabolism during these decades—a
usage that cannot be attributed to any one thinker”16,
anche considerando l'importanza del suo uso da Liebig in poi.
Nell’Anti-Dühring
Engels, ad esempio, afferma che “il
ricambio materiale organico sia il fenomeno più generale e più
caratteristico della vita, è cosa che da trent'anni a questa parte è
stata detta infinite volte dalla chimica fisiologica e dalla
fisiologia chimica.”17
Nella Dialettica
della natura Engels
ha evidenziato il contributo di Liebig, Helmholtz e Tyndall al salto
di conoscenza scientifica nel dominio dell'energia negli anni
Quaranta e Cinquanta dell'Ottocento. L'uso del concetto da parte di
Marx arrivò a colmare una lacuna teorica da lui considerata
fondamentale per comprendere la radice filosofica
dell'interdipendenza tra uomo e natura, accostata fin dall'inizio dei
suoi studi. Dire che “l'uomo
vive della natura”,
è come dire che la natura trae dalla natura gli elementi per la sua
esistenza, considerando che l'uomo è parte della natura, con la
quale ha bisogno di instaurare un dialogo permanente se non vuole
morire. Questo complesso rapporto di dipendenza colloca l'uomo
all'interno di un più ampio sistema di produzione della vita
naturale in generale, non solo suo, che dipende dal mantenimento
della sua armonia di esistere. Questo scambio complesso, mediato dal
lavoro, subordina l'uomo in un sistema di scambi materiali,
sottomettendolo a un insieme di “norme
naturali” imposte
dalla natura, nonché a un insieme di “norme
sociali” che ne
delimitano l'azione. La specificità dell'indagine marxiana è stata
quella di verificare il carattere dell'alienazione dell'uomo dalla
natura avvenuta all'interno di questo processo.
Analizzando
la genesi del capitalismo, dall'osservazione delle condizioni
storiche, nonché l'evoluzione dell'agricoltura moderna, Marx ha
potuto verificare il potenziale distruttivo dell'economia capitalista
nei confronti dell'ambiente naturale. In tutti i passaggi che ci
siamo proposti di analizzare, è possibile percepire la diagnosi
fatta sull'industria capitalista, sulla sua responsabilità
nell'impoverimento del suolo e del lavoratore. Nel Capitale
Marx fa riferimento a una terminologia specifica per rappresentare
una “rottura”,
un “fallimento
irreparabile”,
all'interno dell'interazione metabolica uomo-natura, che avrà
importanti conseguenze per lo sviluppo della sua opera. Nel Capitale
(“Genesi
della rendita fondiaria capitalistica"),
Marx afferma che: “la
grande proprietà fondiaria riduce la popolazione agricola a un
minimo continuamente decrescente, contrapponendole una popolazione
industriale stipata in grandi città e continuamente crescente;
genera perciò condizioni che provocano un’insanabile frattura nel
tessuto del metabolismo sociale prescritto dalle leggi naturali della
vita, in seguito alla quale le risorse della terra vengono dissipate,
e il commercio estende questo sperpero ben oltre i confini del
rispettivo paese. (Liebig). Se la piccola proprietà fondiaria crea
una classe di barbari che per metà vive ai margini della società e
che unisce tutta la rozzezza di forme sociali primitive a tutte le
sofferenze e le miserie di paesi civili, la grande proprietà
fondiaria mina alle radici la forza del lavoro nell’ultima regione
in cui la sua energia naturale originaria cerca rifugio, e nella
quale essa si accumula come fondo di riserva per il rinnovo della
forza vitale delle nazioni: nelle campagne. Grande industria e grande
agricoltura gestita industrialmente operano di concerto. Se, in
origine, esse si separano perché la prima devasta e rovina
maggiormente la forza lavoro e quindi la forza naturale dell’uomo e
la seconda più direttamente la forza naturale della terra, nel corso
ulteriore dello sviluppo esse si dànno la mano, in quanto il sistema
industriale applicato ai campi sfibra gli stessi lavoratori e, da
parte loro, industria e commercio forniscono all’agricoltura i
mezzi per esaurire il suolo.”18
La
frattura metabolica appare nell'opera marxiana come una delle
contraddizioni del capitalismo, causata dalla crescita simultanea
della grande industria e dell'agricoltura, sotto le richieste del
capitale. La separazione tra campagna e città, così come il
progressivo aumento della distanza tra agricoltura e industria
capitalista, vengono additati come fatti generatori di un'alienazione
nel rapporto tra uomo e natura. Tale alienazione genererebbe una
“rottura”,
una “frattura”
nel rapporto uomo-natura, da cui risulterà una mancanza essenziale,
una “perdita”
nell'asse
dell'interazione metabolica. Nei Grundrisse Marx afferma che:
“Non
è l’unità degli uomini viventi e attivi con le condizioni
naturali inorganiche del loro ricambio con la natura, e di
conseguenza la loro appropriazione della natura, bensì la
separazione di queste condizioni inorganiche dell’esistenza umana
da questa esistenza attiva, una separazione che è posta
compiutamente solo nel rapporto tra lavoro salariato e capitale, che
ha bisogno di una spiegazione o che è il risultato di un processo
storico”.19
Tale
“frattura”
costituisce,
secondo Marx, l'essenza stessa del carattere predatorio che il
capitalismo avrà nei confronti dell'ambiente, la vera radice di
tutti i problemi ambientali, in termini strutturali. Ciò implica
dire che il capitalismo è un sistema di “rapina”
poiché sottrae all'operaio il suo oggetto e la sua forza-lavoro, per
produrre il plusvalore, riducendolo a
“cosa”, d'altra
parte, toglie alla natura tutto gli elementi necessari per la
realizzazione dei suoi interessi, senza il corretto “restauro”
di quanto le è
stato sottratto. Il modo di produzione capitalista non ha una logica
basata sul mantenimento dell'ordine e sull'esistenza di relazioni al
suo interno, anzi, essendo fondato su una struttura alienata, ne
prevede la progressiva corrosione. Il lavoro, come elemento di
“mediazione”,
attraverso il quale si attua il “controllo”
e la “regolazione”
dell'interazione
metabolica, dove l'uomo si adatta ai bisogni e ai limiti naturali,
per adattare la natura ai suoi interessi, perde immediatamente ogni
traccia di sostenibilità sul lungo periodo. Il graduale aumento di
questa separazione genera una presunta autonomia da parte
dell'industria riguardo alla finitezza dei beni naturali che vengono
utilizzati nella produzione, così che il suo sviluppo “non
trova più in sé, naturalmente, le condizioni della sua propria
produzione, la quale esiste invece come industria autonoma al di
fuori di essa”20,
diventando così ecologicamente insostenibile. Il pericolo risiede
nel carattere alienato della relazione, che sta alla base di ogni
inadeguato sfruttamento delle risorse naturali, a partire dal non
riconoscimento dell'uomo come essere che costituisce l'intelaiatura
naturale dell'ambiente in cui vive (alienazione fondamentale) fino al
riconoscimento che la materia da cui estrae gli elementi della sua
vita è finita. La naturalizzazione dello stile di vita capitalistico
implica necessariamente una denaturalizzazione dell'uomo.
Per
Foster: “Marx
employed the concept of a “rift” in the metabolic relation
between human beings and the earth to capture the material
estrangement of human beings within capitalist society from the
natural conditions which formed the basis for their existence. (...)
To insist that large-scale capitalist society created such a
metabolic rift between human beings and the soil was to argue that
the nature-imposed conditions of sustainability had been violated.”21
Analizzando
lo schema teorico in cui Marx fa uso del termine “frattura
metabolica”,
possiamo vedere che egli individua nella separazione tra città e
campagna la base dell'alienazione in cui risiede tutta
l'insostenibilità dell'industria capitalista.
Al
crescente inquinamento dei centri urbani ed a tutta l'irrazionalità
nell'uso delle risorse naturali si aggiungeva l'impossibilità di
restituire al suolo i nutrienti che erano stati rimossi sotto forma
di alimenti e fibre. Si può quindi concludere che l'essenza della
sostenibilità sta nel riunire e ristabilire il collegamento tra
produzione industriale e agricola, restituendo alla natura gli scarti
di produzione e consumo, trattati e trasformati, come parte di un
ciclo metabolico completo. Il “fallimento”
derivante dalla
separazione tra campagna e città, nonché la critica all'industria
capitalista, hanno portato Marx a formulare, indirettamente, un'idea
di sostenibilità ecologica, nonché quella di una solidarietà
interoperativa a sfondo ecologico, molto vicina a quella che verrà
formulata in seguito dagli ambientalisti contemporanei. L'agricoltura
capitalista va contro l'agricoltura razionale, nei modelli analizzati
da Marx, influenzato dai teorici della seconda rivoluzione agricola,
e, in vari momenti della sua opera, indica la distruzione delle
foreste, l'esaurimento delle riserve di carbone e il danno ambientale
a seguito della sua espansione. Marx afferma nel capitolo 46 del
Capitale
che:
“Bisogna
distinguere il caso in cui la rendita scaturisce da un prezzo di
monopolio perché esiste un prezzo di monopolio dei prodotti o dello
stesso suolo da essa indipendente, e quello in cui i prodotti si
vendono a un prezzo di monopolio perché esiste rendita. Se parliamo
di prezzo di monopolio, intendiamo in generale un prezzo unicamente
determinato dal desiderio di acquisto e dalla solvibilità dei
compratori, indipendentemente sia dal prezzo generale di produzione,
sia dal prezzo determinato dal valore dei prodotti. Un vigneto che
produce un vino di qualità affatto eccezionale, un vino che può in
generale essere prodotto solo in quantità relativamente modesta,
arreca un prezzo di monopolio. Grazie a questo prezzo di monopolio,
la cui eccedenza sul valore del prodotto è unicamente determinata
dalla ricchezza e dalla predilezione degli esimi bevitori, il
viticultore realizzerebbe un sovraprofitto considerevole. Questo
sovraprofitto, che scaturisce da un prezzo di monopolio, si converte
in rendita e finisce sotto questa forma nelle mani del proprietario
fondiario in virtù del suo titolo su quella porzione del globo
dotata di qualità particolari. Dunque, in questo caso, è il prezzo
di monopolio a creare la rendita. Sarebbe invece la rendita a creare
il prezzo di monopolio, se del grano fosse venduto non solo al
disopra del suo prezzo di produzione, ma al disopra del suo valore, a
causa della barriera che la proprietà fondiaria oppone
all’investimento di capitale, senza pagamento di rendita, in un
terreno incolto. Il fatto, che solo in virtù del titolo di un certo
numero di persone alla proprietà del globo terrestre queste possano
appropriarsi come tributo una parte del pluslavoro eseguito dalla
società, e appropriarselo in misura sempre crescente via via che la
produzione si sviluppa, è mascherato dalla circostanza che la
rendita capitalizzata, quindi questo stesso tributo capitalizzato,
appare come prezzo del suolo, e questo può, di conseguenza, essere
venduto come ogni altro articolo di commercio. Ne segue che al
compratore il suo diritto alla rendita appare non come ottenuto
gratis - e senza il lavoro, il rischio e lo spirito d’intrapresa
del capitale -, ma come pagato al suo equivalente. Come si è già
osservato prima, la rendita gli appare soltanto come interesse del
capitale con cui ha acquistato il terreno e, insieme ad esso, il
titolo di diritto alla rendita. Esattamente allo stesso modo, al
proprietario di schiavi che ha comprato un negro la sua proprietà su
quest’ultimo appare acquisita non grazie all’istituto della
schiavitù in quanto tale, ma grazie ad una compravendita di merce.
Senonché la vendita non crea il titolo stesso, ma si limita a
trasferirlo. Per poter essere venduto il titolo deve già essere
presente, e una serie di tali vendite, la loro continua ripetizione,
non può crearlo più che non lo possa una sola. Ciò che lo ha
creato, in effetti, sono i rapporti di produzione. Non appena questi
sono arrivati a un punto in cui è necessario che cambino pelle, ecco
che la fonte materiale di quel titolo e di ogni transazione basata su
di esso, la fonte economicamente e storicamente giustificata,
derivante dal processo di creazione sociale della vita, viene a
cadere. Dal punto di vista di una superiore formazione
socio-economica, la proprietà privata di singoli individui sul globo
terrestre apparirà non meno assurda della proprietà privata di un
uomo su un altro. Neppure un’intera società, una nazione, anzi
tutte le società di una stessa epoca prese assieme, neppure esse
sono proprietarie della terra. Ne hanno soltanto il possesso,
l’usufrutto, e hanno il dovere, da boni patres familias, di
trasmetterla migliorata alle generazioni successive.”22
L'insostenibilità,
risiede in due fatti fondamentali: l'incapacità di condurre uno
sfruttamento naturale che consenta il godimento futuro da parte di
altre generazioni di uomini delle risorse naturali e la fede
nell'infinità delle risorse naturali. Entrambi i fatti derivano
direttamente dalla concezione immediata della soddisfazione dei
bisogni umani come intrapresa dal modo di produzione capitalista. La
sostenibilità è, essenzialmente, un legame storico esistente tra le
generazioni umane che sono prigioniere della stessa fatticità e che,
costrette al prevalere della solidarietà, su tutti gli altri valori
derivati dalla logica del capitale, si uniscono nella conquista
della sopravvivenza. L'attuazione di questo modello di razionalità
dipende dall'emancipazione umana dalla condizione alienata in cui si
costituisce il suo rapporto con la natura, il che implica
necessariamente un cambiamento della forma dei rapporti di
produzione. A tal fine, Marx sviluppò l'idea di un sistema agricolo
basato su una associazione
dei
produttori associati, uniti attraverso il lavoro cooperativo, che
rappresenterebbe un superamento della condizione di sfruttamento
capitalista, iniziando a svilupparsi all'interno della realtà
agricola.
Marx
ha ripetutamente insistito sul fatto che le contraddizioni del
capitalismo genererebbero un
"problema cronico"
nella produzione agricola, così che con l'espansione del modello di
agricoltura e industria sulla condizione alienata tra campagna e
città, di conseguenza genera l'insostenibilità ecologica di tutta
la produzione capitalistica che avanza senza il dovuto controllo
razionale.
Il
passaggio a una società post-capitalista di produttori associati
sarebbe responsabile di una nuova forma di metabolismo umano con la
natura, aprendo lo spazio allo sviluppo della creatività in tutte le
fasi della produzione e del consumo, nonché il suo fondamento sul
predominio dei valori d’uso, fondati sul superamento del divario
tra campagna e città, agricoltura e industria, un'alienazione che
genera la “frattura
metabolica”. In
ogni caso, il passaggio al socialismo o al comunismo non sarebbe, di
per sé, un superamento di tutti i problemi della produzione umana,
al contrario, la necessità di curare il controllo razionale della
produzione sarebbe una costante umana a prescindere dal modo di
produzione.
Per
Foster: “Further,
there is simply no indication at any point in Marx’s vast
intellectual corpus that he believed that a sustainable relation to
the earth would come about automatically with the transition to
socialism. Rather he stressed the need for planning in this area,
beginning with measures aimed at the elimination of the antagonistic
division of labor between town and country. This included the more
even dispersal of population, the integration of industry and
agriculture, and the restoration and improvement of the soil through
the recycling of soil nutrients. All of this obviously required a
revolutionary transformation in the human relation to the earth.”23
Marx
nota che: “ogni
produzione è appropriazione della natura da parte dell’individuo
all’interno e a mezzo di una determinata forma sociale”.24
Il
capitalismo si distingue dagli altri modi di produzione, tra l'altro,
per il suo modo di concepire la natura come parte della sfera della
proprietà privata. Nella proprietà capitalista essa dissolve tutti
i tradizionali legami che possono esistere tra l'uomo e la terra,
separando il lavoratore e le condizioni oggettive della sua
realizzazione, compreso lo scioglimento forzato da parte del processo
storico di espropriazione, generando due conseguenze fondamentali:
1.
La dissoluzione del rapporto uomo-terra. Si crea un rapporto alienato
dove l'uomo si vede distinto e autonomo di fronte al flusso naturale.
2.
Scioglimento dei rapporti in cui lavora il proprietario della terra e
in cui il lavoratore è proprietario.
L'espropriazione
costituisce un mezzo per trasformare i mezzi di produzione in
capitale e la popolazione in salariati e si presenta come una delle
tappe fondamentali nella costruzione storica della struttura alienata
del rapporto uomo-natura e nel dare origine, in linea di principio,
all'accumulazione originaria, la genesi del modo di produzione
capitalista. Il lavoro alienato e la proprietà privata saranno i
risultati ottenuti dall'espropriazione.
In
un primo momento, in Inghilterra, l'espropriazione venne condotta da
John Locke e Oliver Crowell, attraverso l'espansione della recinzione
dei commons, privando una grande massa della popolazione delle loro
proprietà, costringendoli a lavorare come salariati. Questo fatto è
stato osservato non solo da Marx, ma anche da altri autori come
Thomas Morte e Francis Bacon. Con la Riforma protestante, i beni
della Chiesa furono espropriati e distribuiti tra coloro che
avrebbero formato la prima classe borghese. La progressiva
sostituzione delle terre occupate dalle comunità tradizionali con
grandi latifondi, generalmente occupati da poche famiglie, dediti
all'allevamento del bestiame, ebbe il potere di incorporare la terra
al capitale, e d'altra parte, di creare un esercito di lavoratori in
eccedenza necessario per lo sviluppo delle industrie. Secondo Marx, i
proprietari terrieri formavano, in principio, la prima classe
originata dall'espropriazione del contadino, dando origine al modello
dell'agricoltura capitalistica e, successivamente, al capitalismo
industriale. Nella sua opera classica, Second
Treatise of Government,
John Locke dedica un intero capitolo alla difesa dell'argomento
secondo cui la proprietà privata è un diritto naturale dell'uomo,
la cui esistenza deriva dalla trasformazione della natura ad opera
del lavoro umano. A suo avviso, nessuno può pretendere, in linea di
principio, di essere detentore del possesso o della proprietà di
qualsiasi cosa in natura, considerando che Dio ha dato tutto a tutti,
non stabilendo un uso privato di nulla in natura per nessun uomo in
particolare. Il lavoro sarebbe, nella sua concezione, l'unica
proprietà di cui l'uomo nasce proprietario. Applicando la sua forza
lavoro alla natura, vi aggiunge qualcosa che prima non c'era,
escludendo così il diritto degli altri a quella cosa. Pertanto,
lavoro e proprietà privata sarebbero naturalmente correlati, per il
fondatore del liberalismo politico. Nella sua argomentazione,
inizialmente, afferma che il lavoro è la misura della proprietà,
nonché il suo usufrutto, considerando che Dio non ha dato all'uomo
nulla da sprecare.
Possiamo
dire che la sua opera rappresenta una sintesi del pensiero di diversi
autori che lo hanno preceduto in un momento storico di espansione
dell'espropriazione in Inghilterra a causa delle riforme politiche di
Crowell. Rappresenta, a nostro avviso, un grande esempio di come la
terra inglese sia stata trasformata in capitale, e di come il modello
di proprietà prodotto in questo periodo trasposerà la sfera
materiale, e formerà la base di tutta la legislazione, nonché dei
diritti fondamentali alla vita, libertà e proprietà, che saranno
tutte trattate da Locke come "proprietà
dell'uomo",
essendo il telos dello Stato la protezione di queste proprietà.
Pertanto, si formerebbe la base istituzionale (politica e giuridica)
per l'espansione del modo di produzione capitalistico, incentrato
sulla protezione della proprietà privata. La distruzione dei commons
e dei legami comunitari
tradizionali, la tratta degli schiavi, lo sterminio delle popolazioni
indigene, tra molti altri eventi, sono descritti da Marx come
seminali per l'espansione della proprietà privata capitalista. Sulla
base dell'espropriazione si determina la condizione per sostenere la
legge fondamentale del capitalismo e cioè l'accumulazione
illimitata, basata sullo sfruttamento dei lavoratori e sulla
separazione tra uomo e natura, attraverso il rapporto alienato della
proprietà privata.
Nel
capitolo sull’accumulazione originaria, Marx afferma che: “La
scoperta delle terre dell’oro e dell’argento in America, lo
sterminio, la riduzione in schiavitù e il seppellimento nelle
miniere della popolazione indigena, l’incipiente conquista e
saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in
riserva di caccia commerciale alle pelli nere, contrassegnano gli
albori dell’èra di produzione capitalistica. Questi processi
idilliaci sono momenti essenziali dell’accumulazione originaria.”25
Il
capitalismo si costituirà, quindi, in un sistema di separazioni e
contraddizioni, campagna e città, proprietario e lavoratore, uomo e
natura, e queste costituiscono la malta della sua struttura di
alienazione. Secondo Foster:
“For
Marx, all of this was inseparable from, and indeed is a logical
outgrowth of, what he called the “differentia specifica” of the
system of capitalist private property—the fact that it was built on
systematic alienation from all forms of naturally based need. Hence,
under the artificial regime of capital it is the search for exchange
value (that is, profit), rather than the servicing of genuine,
universal, natural needs, which constitutes the object, the motive,
for production. (...) In all of this, however, Marx continually
insists that the alienation from the earth is sine qua non of the
capitalist system.”26
Il
rapporto dell'uomo con la terra è mediato dalle relazioni sociali
che si costituiscono su un determinato modo di produzione. Nel
sistema capitalistico tale rapporto è alienato, sotto diversi
aspetti, per cui il ripristino del rapporto metabolico tra uomo e
natura può essere effettuato solo superando questa condizione.
L'integrazione tra campagna e città, agricoltura e industria, che
costituiscono i punti fondamentali dell'alienazione capitalista, sarà
la base per il superamento dell'alienazione dell'uomo dalla natura.
Engels nel suo Anti-Dühring
lo afferma:
“la
soppressione dell'antagonismo di città e campagna non solo è
possibile, ma è divenuta una diretta necessità della stessa
produzione industriale, così come è diventata del pari una
necessità della produzione agricola ed inoltre dell'igiene pubblica.
Solo con la fusione di città e campagna può essere eliminato
l'attuale avvelenamento di acqua, aria e suolo, solo con questa
fusione le masse che oggi agonizzano nelle città saranno messe in
una condizione in cui i loro rifiuti saranno adoperati per produrre
le piante e non le malattie.”
Nello
stesso senso, Foster sostiene che l'alienazione degli esseri umani
dalla terra è una precondizione per l'alienazione dell'uomo da parte
del regime dell'accumulazione capitalista, così che "the
revolution against capitalism required therefore not only the
overturning of its specific relations of exploitation of labor, but
also the transcendence—through the rational regulation of the
metabolic relation between human beings and nature by means of modern
science and industry—of the alienation from the earth: the ultimate
foundation/precondition for capitalism.”
Note
1Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.2
2Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.7-8
3Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.8
4Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.11
5Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.15-16
6Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.148-149
7Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.141-142
8Grundrisse.
Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, pag.
603
9Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.145
10Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.146
11Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.146-147
12Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.153
13Grundrisse.
Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, pag.
89
14Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.158
15Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.160
16Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.161
17La
scienza sovvertita del signor Eugen Dühring, pag.44
18Il
Capitale, terzo volume, pag.1003
19Grundrisse.
Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, pag.
468
20Grundrisse.
Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, pag.
513
21Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.163
22Il
Capitale, terzo volume, pag.956-958
23Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.169-170
24Grundrisse.
Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, pag.
10
25Il
Capitale, primo
volume, pag.938
26Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.174
27La
scienza sovvertita del signor Eugen Dühring, pag.189
28Marx’s
Ecology: Materialism and Nature, pag.176-177